Canossa (Reggio Emilia), la perduta Luceria
di Stefano Panizza
Si trova lungo sponda destra del torrente Enza, al confine con la provincia di Parma. Stiamo parlando dei resti dell’antico borgo di Luceria, il cui nome deriverebbe da “lucus”, cioè “bosco sacro”. In realtà, e come suggerito dal geologo Albino Calori (scomparso alcuni anni fa), il “bosco” non c’entra per nulla. Perché a suo dire tutto nasce da “Lug”, il dio celtico della luce, il cosiddetto “figlio del Sole”. E i Celti hanno abitato davvero queste zone. Così come è risaputo che questa divinità ha dato il nome ad alcune città, come la francese Lione.
Ora, a pochi chilometri di distanza, ma in territorio parmense e sulla riva sinistra del fiume Enza, si innalza il monte Lugaro (detto “Lug”, in passato), un’altura fatta a panettone.

Quindi, abbiamo due toponimi, Lugaro e Luceria, vicini nello spazio e che iniziano allo stesso modo, cioè con le lettere “Lu”. Che ci sia una correlazione e che tutto sia legato alla “luce”? Se così fosse, come mai questo richiamo? Non certo perché la città e i pendii del monte godano di una insolazione particolarmente generosa. O per un particolare riconoscimento alla divinità adorata anticamente, visto che non è certo la più importante del pantheon celtico. E se, invece, il collegamento fosse nato perché un tempo sulle vette del Lugaro si verificavano inconsueti ed incomprensibili fenomeni luminosi? Chissà… ma forse si tratta solo di una semplice suggestione.
Comunque sia, il nome Luceria è ricordato anche da quel piccolo corso d’acqua che separa il comune di Canossa da quello di San Polo D’Enza che si chiama, appunto, rio Luceria.
Un luogo arcaico, visto che l’astronomo Claudio Tolomeo (85-165 d.C.) ne descrive la posizione nella sua opera Geographia (anche se a dire il vero la nomina come Nuceria). Una città famosa, evidentemente, confermato anche dalla sua menzione in opere cinquecentesche e seicentesche.

Parliamo ora della sua storia, perché è lì che si nasconde un possibile mistero. Luceria fu creata dai Liguri attorno al IV secolo a.C., in un periodo storico in cui l’incontro con le popolazioni celtiche giunte dal nord era già avvenuto da secoli (con tanto di fusione di costumi e tradizioni). E nacque come luogo di scambi commerciali, perché la zona era punto di incontro di importanti vie di comunicazione, come quella per portava in Etruria attraverso gli Appennini. Poi, naturalmente, arrivarono i Romani, trasformando quello che era un grosso mercato in un vero e proprio centro abitato, con case, edifici pubblici, strade lastricate e servizi per i viaggiatori.
Sembra, però, che il centro non abbia mai raggiunto uno sviluppo tale da garantirgli l’autonomia amministrativa. Quindi, era probabilmente un “vicus”, cioè un quartiere o piccolo borgo dipendente da un nucleo urbano più importante.
Ma la storia di Luceria sembra bersagliata dalla sfortuna, perché ad un certo punto un vasto incendio distrusse tutte le strutture in legno della città. Ma soprattutto perché nel IV secolo d.C. venne precipitosamente abbandonata.
Evidentemente qualcosa di grave era successo, ma cosa? Ed è qui che sta il mistero… vediamo di ragionarci sopra.
Per l’Impero romano erano sicuramente anni difficili, sempre in allerta per bloccare le invasioni dei popoli barbari. Ed è, dunque, possibile che manipoli di legionari fuori controllo abbiano cacciato la popolazione dal borgo per procurarsi cibo e godere di un alloggio momentaneo.
O forse la causa va ricercata in una catastrofe naturale, come un terremoto particolarmente forte o un’alluvione. Ma di questo non c’è evidenza.
Comunque sia, dopo l’abbandono e la passata l’emergenza, la città venne ripetutamente saccheggiata, per recuperare i preziosi materiali edili da riutilizzare in nuove costruzioni. Non per nulla, il posto è stato chiamato Predàro, cioè Pietraia, fino al XVIII secolo.
Così, con il passare dei secoli, la città scomparve e se ne perse progressivamente la memoria.
Poi, grazie agli scavi condotti a partire dal 1700 cominciò lentamente a riprendere vita. O, meglio, quello che ne rimaneva. Ed ecco mura di varie forme e dimensioni, ma anche manufatti come lucerne fittili, frammenti di
vasi di vetro colorato, chiavi, chiodi, metalli, fibule, anelli e monili. E pure monete, trovate in grande quantità, di tutti i tipi e grandezze, sia di bronzo che d’argento. Ma anche tombe con tanto di corredo, come quelle quattro rinvenute nel 1861 da un contadino mentre stava arando il proprio campo. Senza dimenticare una strada lastricata.
Già… ma sorge un dubbio? Ciò che ora brilla alla luce del sole è davvero la favolosa Luceria? A dire il vero, nel 1925 lo studioso Andrea Balletti pubblicò un volume sulla storia di Reggio Emilia, nel quale espresse molti dubbi al proposito. Come mai? Per la scarsità delle vestigia rinvenute. Ma da allora nuovi ritrovamenti sono avvenuti, quindi la sua è rimasta una voce isolata e non più considerata attendibile.
Comunque sia, ho avuto modo di visitare il luogo degli scavi più volte. Per chi volesse farlo, ricordo che occorre lasciare l’auto nella zona commerciale che si trova poco distante, per poi prendere uno sterrato ben indicato da un pannello segnaletico. Infine, dopo pochi minuti di tranquilla camminata, giusto in tempo per cogliere in lontananza e alto sulla sinistra il castello di Guardasone con relativa torre d’avvistamento, ecco sulla destra l’ingresso del sito.

Ad ogni modo, anche se è chiuso, da dietro la rete di recinzione si può tranquillamente cogliere quanto è rimasto. Che è davvero poco: qualche perimetro di mattoni ad indicare probabilmente dei nuclei abitativi e poco più. Occorre davvero viaggiare di molta fantasia per vedere nel piccolo spazio recintato risorgere case, botteghe e strade e per immaginare la fuga precipitosa dei suoi abitanti per motivi ancora misteriosi…
