Gazzola (Piacenza), il cubo volante
di Stefano Panizza
Nella piccola frazione di Tuna sono le ore 21 del 28 novembre 1973, quando una bimba di dieci anni di nome Patrizia vede una cosa che non dimenticherà per tutta la vita. Sì, perché nel campo che confina con la sua casa, una villa rustica, nota una specie di cubo, una sorta di smeraldo dalle facce esagonali, che definisce “grande come un’aula della scuola”, quindi un 6×7 metri. Dal terrazzino, lo descrive completamente bianco sul lato superiore e rosso su quello inferiore, con le due parti che si accendono alternativamente. E che non sta fermo. Sì, perché giunto da Agazzano, prima si blocca a mezz’aria sul campo e ad una distanza di trecento metri dalla fanciulla, poi riparte a velocità sostenuta verso la città, non prima di essersi a lei avvicinato ed aver investito la vegetazione sottostante.
Ci sono prove a sostegno della giovane testimone?
Forse sì. Perché, sul luogo dei fatti, l’erba risulta effettivamente schiacciata (anche se non bruciata) e nella casa della bambina le trasmissioni televisive mostrano segni di disturbo per tutta la durata dell’apparizione. A ciò, si aggiungono la testimonianza della mamma (che però vede solo due piccole luci in direzione Piacenza), della zia (convinta che sul prato sia scoppiato un incendio) e di altri bambini. E, forse, anche quelle di un commerciante e di un insegnante, che parlano di un disco, alto nel cielo e che emette una luce rossa, presente sul luogo dei fatti e alla medesima ora.
Dimenticavo, l’incredibile vicenda diventa il tema che la bambina scrive come compito in classe…