Gualtieri (Reggio Emilia), curiosità alla torre

di Stefano Panizza

Ponendosi all’interno della quadrata piazza centrale (di novantasei metri di lato), ed avendo alle spalle Palazzo Bentivoglio, lo sguardo non può che essere rapito dalla torre civica, alta ben quarantaquattro metri.

 

Progettata da Gian Battista Aleotti, detto l’Argenta, ha una sagoma che si assottiglia verso l’alto, come un cannocchiale, e termina con una forma ottagonale a lanterna. All’epoca dei Bentivoglio, quindi fra il XVI e il XVII secolo, la torre aveva due livelli mentre il terzo piano e il “lanternino” furono aggiunti solo nel secolo successivo.
Ma la vera curiosità della struttura si trova al secondo piano del lato sud. Quindi, non nella parte frontale ma a sinistra, sempre per chi sta al centro della piazza. Per questo può non essere notata (oltre che per le sue modeste proporzioni).
In pratica, è un orologio solare, cioè uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del sole (per questo è posto a sud, per avere la massima insolazione durante la giornata). Ed è l’ombra generata da uno stilo (spesso in ferro e detto gnomone) su un quadrante in cui sono indicate le ore, che permette di capire “che ore sono”. Ma il tempo è calcolato “alla francese”, (ed una volta serviva come riferimento per regolare l’orologio meccanico che ha di fianco).
Già… ma che cosa vuole quel “alla francese”, un’espressione dal sapore insolito, quasi fosse una cosa alla moda? In fondo, l’orario, con le dovute correzioni date dal luogo geografico (si penso al discorso dei “fusi”), non dovrebbe avere un’unica insindacabile regola che è il moto del sole?
Occorre, dunque, spiegare. La così detta “ora italica”, un metodo di suddivisione del giorno che si è diffuso a partire dal XIV secolo, prevedeva che la giornata fosse suddivisa in ventiquattro ore della stessa durata. E fin qui nulla di strano. La particolarità era che mezz’ora dopo il tramonto (cioè quando le campane suonavano l’Ave Maria), scattava la ventiquattresima ora, cioè la fine della giornata. Come risulta evidente, questa cadeva in momenti diversi del giorno a seconda del periodo dell’anno (d’inverno viene buio molto prima che in estate, cioè le ore di luce cambiano a seconda delle stagioni). Insomma, ad esempio, affermare “sono le ore 22” voleva dire tutto e niente.
Ma una cosa era certa: in ogni caso, sarebbero mancate due ore all’inizio del buio. Che è poi quello che interessava chi faceva il lavoro nei campi.
Ma questo metodo di calcolo del tempo venne progressivamente soppiantato dopo la metà del XVIII secolo dalla citata “ora alla francese”, usata ancora oggi. Essa definisce le ore dodici (mezzogiorno) come il momento della giornata in cui il sole è alla massima altezza, indipendentemente dalla stagione. E, così, da quel momento le ore hanno cessato di avere un significato relativo (all’inizio della notte), per prenderne uno assoluto.