Il misterioso masso di Quattro Castella (Reggio Emilia)
di Stefano Panizza
Dal 2011 fa bella mostra nell’eremo dedicato a san Michele Arcangelo a Salvarano (Reggio Emilia), attraendo frotte di curiosi e studiosi accademici.
Stiamo parlando di un grande masso del peso di alcuni quintali recuperato sulle colline della frazione di Salvarano, precisamente nell’alveo del rio Bercemme, affluente del più noto torrente Modolena.
Fu un geologo a caccia di pietre particolari che lo notò negli anni Novanta, mentre camminava lungo le sue rive. Un luogo solitario, per questo era sfuggito ai più.
Ma cosa ha di particolare questa roccia, che a uno sguardo distratto può sembrare una comune pietra? A renderla speciale, è quella coppia di protuberanze dalla forma più o meno tondeggiante che spunta nella sua parte superiore sostanzialmente piatta. E che paiono due specie di tamburi affiancati e dalle dimensioni leggermente diverse. Almeno, così pare ad osservare una sua fotografia.
La loro lavorazione, presumibilmente eseguita con strumenti metallici, viene fatta risalire all’Età del Bronzo e riprodurrebbe delle palette di legno ad uso alimentare, già rinvenute nella Pianura Padana. A dire il vero, in altre epoche, come quella medievale, tali palette venivano utilizzate anche per le cerimonie di sepoltura.
Comunque, le terrene reggiane non sono nuove a questo genere di ritrovamenti, come dimostra il “culto delle rocce” presente in Val Tassaro. Qui, precisamente nel comune di Vetto, è presente una complessa serie di incisioni scolpita su una vasta superfice rocciosa, inclinata e nascosta nel bosco. Risulta composta da sette profondi tagli lineari, numerose coppelle collegate da piccole canalette, piccole vasche in pietra e curiose incisioni quadrangolari. Senza dimenticare altri petroglifi, non visibili ad occhio nudo a causa dell’erosione della roccia, ma individuati tramite “laser scanner”.
Quindi, si può dire che questo sito mostra le tipiche caratteristiche dei luoghi di venerazione preistorica. Perché la roccia istoriata è in cima ad un rilievo, è collocata all’interno di un bosco sempreverde, è orientata a occidente ed è vicina ad una sorgente. Così come è probabile che il luogo sia stato occultamente utilizzato anche in epoca cristiana, come suggerisce quella croce incisa per esorcizzare i riti pagani…
Ad ogni modo, tornando alla roccia di Bercemme e riassumendo, non si conosce la sua epoca di lavorazione e si presume un riferimento a manufatti per uso alimentare. Poi, si lamenta la difficoltà a contestualizzare il reperto, non essendoci tracce di antropizzazione nella zona, e si ignora se si sia sempre trovato lì o se provenga da altrove.
Morale, si sa quasi nulla.
A questo punto occorre approfondire. Così, contatto il signor Simone Corradini, che so aver indagato, almeno in parte, la faccenda.
“Nella medesima zona ho rinvenuto altre pietre lavorate. Una è fatta a forma di <elle>, con gli angoli perfettamente squadrati. Un’altra presenta una mano a rilievo, altre ancora delle scanalature perfettamente rettilinee.
Curiosa è pure quella roccia che mostra un piccolo foro esattamente circolare.
Due di queste pietre le ho consegnate al gruppo storico archeologico <Bibianellum>. Però, non so se si tratti di manufatti recenti, ma è possibile”.
In realtà, Simone non aggiunge possibili spiegazioni per il misterioso masso. Anzi, se vogliamo, complica ancora di più la faccenda, vista la possibile presenza nella zona di altri manufatti antichi (quindi, la contestualizzazione del reperto sarebbe, in realtà, possibile). È anche vero che questi prodotti artigianali potrebbero semplicemente essere rotolati in quel luogo, a seguito di frane o per lo scorrere dell’acqua, provenendo, dunque, da altrove.
Ma forse la spiegazione per l’enigmatica roccia è diversa da quella fin qui ipotizzata. E potrebbe arrivare da un vecchio numero del mensile “Fenix” e da un articolo a firma Andrea Cogerino.
Nella sostanza, lo scritto descrive le possibili vestigia di un’antica civiltà della piemontese Val Susa. E qui, in un’area chiamata “del Maometto” che forse fa riferimento alla leggenda di un popolo dalla pelle scura che praticava magia nella zona, è presente un grande masso roccioso che ricorda proprio quello di Bercemme. Perché mostra due identiche protuberanze, anche se nell’articolo sono ricondotte a ruote sacre di un antico culto solare. Naturalmente, contatto l’autore del servizio, che mi conferma la similitudine dei due manufatti.
Quindi, in poche parole farebbero riferimento ad un credo religioso molto diffuso nell’antichità, dove i due dischi, dalle diverse dimensioni, rappresentano il sole e la luna. Naturalmente, è una semplice ed indimostrabile ipotesi. Perché, mai dimenticarlo, i popoli antichi avevano un modo completamente diverso di relazionarsi con il mondo esterno. Era gente pratica e in simbiosi con una natura che ritenevano magica e divina. Insomma, è impossibile sapere cosa passasse per la testa ad un uomo vissuto migliaia di anni fa.
Ma c’è un ultimo, possibile, mistero. Come scritto all’inizio, ora il masso è conservato a Salvarano, nell’eremo dedicato a san Michele Arcangelo.
Ora, il luogo è in linea d’aria sufficientemente vicino a quella misteriosa linea immaginaria, detta “Linea del drago” che unisce sette monasteri, dall’Irlanda fino a Israele, dedicati proprio a san Michele. Se è pur vero che, cartina alla mano, questi luoghi (monastero di Skellig, monastero di St. Michael’s Mount, santuario di Mont Saint-Michel, Sacra di San Michele in Val di Susa, santuario pugliese di San Michele Arcangelo, monastero greco di Panormitis e monastero Stella Maris in Israele) non sono “perfettamente allineati”, come in realtà scrive qualcuno, lo è altrettanto che si possono ritenere tali con una discreta approssimazione. In ogni caso, è corretto che questa linea non abbia una forma perfettamente dritta, ma piuttosto ondulata, a ricordo dei movimenti del serpente (perché il drago ha tratti serpentiformi e a volte è privo di zampe).
Quindi, anche il “nostro” di Salvarano fa idealmente parte di questa importante “linea energetica”.
Un caso? Forse…
Naturalmente, non si può chiudere lo scritto senza parlare della visita in loco. Succede in una fresca giornata di maggio, preceduta da una notte piovosa. Per questo il ripido sentiero che conduce all’eremo è fangoso e scivoloso. Ad ogni modo, per i più pigri, esiste anche una strada asfaltata che porta sul luogo, ma consiglio quei dieci minuti a piedi, seppur un po’ impegnativi, in mezzo al bosco.
Il masso è lasciato all’aria aperta ma protetto da un piccolo portico, più o meno in corrispondenza dell’abside della chiesa.
Proviamo ad osservarlo. Ed ecco il fatto inaspettato. Sì, perché delle due protuberanze una mostra una decisa sporgenza che si allunga verso chi si affaccia sul modesto vestibolo, mentre l’altra evidenzia una forma piuttosto irregolare, che di tondeggiante pare avere ben poco.