La presunta casa infestata di Campagnola Emilia (Reggio Emilia)
di Stefano Panizza
Campagnola Emilia è un piccolo comune nel cuore della Pianura Padana. E un tempo aveva pure un castello, costruito nell’anno Mille e poi distrutto alcuni secoli più tardi.
Ma, per chi si occupa di misteri, il paese è ricordato per “la casa dalle cinque punte”, a motivo della forma degli altrettanti camini che porta sul tetto. Sì, perché la canna fumaria di ogni comignolo, lasciato il necessario spazio per la fuoriuscita del fumo, risulta chiusa da una punta in guisa di piramide. E certe immagini che circolano in “rete” lo mostra chiaramente.

La leggenda (o come la si voglia chiamare) racconta che venne edificata su più piani negli anni Cinquanta o Sessanta (o Settanta) da un uomo facoltoso, che poi la abitò con la moglie e la figlioletta. E si dice che una delle porte di accesso sia protetta da una cancellata in ferro, con l’elemento centrale che ricorda una alabarda (particolare che mi è stato confermato verbalmente e con tanto di fotografia).

Purtroppo, la famiglia non ebbe il tempo di godersela perché la bimba di due (o tre) anni morì annegata nella piscina di cui la struttura sarebbe ancora dotata. Da lì, l’abbandono del luogo, divenuto insopportabile per la tragedia che ricordava.
A partire da quel momento, luci inspiegabili e rumori sinistri avrebbero iniziato a manifestarsi all’interno della casa sempre più fatiscente. E questo finché la famiglia non lasciò il paese, portandosi via la salma della figlia. Perché solo allora i fenomeni cessarono (oggi, invece, più di una persona, gironzolando al suo interno, giura di aver sentito inspiegabili passi frettolosi al piano superiore o una serie di tonfi non meno inquietanti, oppure ha denunciato ingiustificati problemi alla macchina fotografica). Almeno, stando ai classici “si dice” (che, come tutti i “si dice”, lascia ampio margine all’incertezza, tanto che, ad esempio e a volere dare ascolto a certe voci, la bambina non sarebbe morta in quella casa, ma in un’altra non troppo lontano).
Ma torniamo al presente. Si legge che la struttura si trovi al confine con il comune di Fabbrico, in mezzo alla campagna e al termine di una strada bianca. Il fatto che sia circondata parzialmente da un alto muro di cinta, impedirebbe di dare una vera occhiata al suo interno, giardino compreso.
Ad ogni modo, chi ha avuto modo di curiosare dalle sue parti afferma che una piscina dalla vaga conformazione di “elle” esista davvero (in effetti certe foto più o meno datate sono inequivocabili, da dove si evince pure il suo uso come immondezzaio). Anche se, sempre guardando certe immagini in “rete”, risulta curiosamente tanto piccola (e questo ci sta) quanto profonda (a sensazione di tre metri, e qui ha forse meno senso, visto il suo utilizzo, si racconta, anche da parte di una bambina). In realtà, il fatto che appaia ancora in forma grezza suggerisce che non fu mai adoperata. Per completare il discorso “piscina”, si narra che in talune sue immagini si intraveda la diafana sagoma di una fanciulla.
Però, alla fine, come stanno davvero le cose, cioè la storia che circola si basa su fatti realmente accaduti?
Già controllando i video pubblicati risulta chiaro un particolare: la casa non può mai essere stata abitata. Perché gli interni sono incompleti (ad esempio, si guardino le scale, prive di ringhiere). Quindi, è molto probabile che venne abbandonata in fase di ultimazione.
Ma perché? Approfondendo la faccenda con chi dichiara di essere “persona informata sui fatti”, emerge che fu per insormontabili problemi finanziari del suo proprietario. Insomma, non aveva i soldi per finirla. Su questo filone, un’altra fonte mi garantisce che non fu mai abitata.
Addirittura, altre persone che risiedono o hanno lavorato nel comune di Campagnola, ignorano completamente il presunto ed inquietante passato della casa.
E la faccenda della bambina morta? In realtà, e come già accennato, lì non è mai morta nessuna bambina, come confermatomi da più persone e come è normale che sia, visto che la struttura non è mai stata vissuta.
A questo punto, viene da chiedersi come sia possibile che nasca e perduri una storia basata sul “nulla”, seppure pare circolare solo fra gli appassionati del “mistero”.
Una possibile spiegazione è che l’eccentricità del tetto della casa (si pensi al tocco esotico e forse anche un po’ sinistro dei cinque comignoli a punta), ben visibile anche da lontano nei mesi invernali, abbia scatenato la fantasia di qualcuno. E che magari una bambina sia morta per davvero, ma in un altro luogo e non troppo lontano da questo, con il fatto qui “ambientato” perché più consono ad una tragedia.
Ad ogni modo, storie di bambine fantasma sono più comuni di quanto si pensi, come a Villa Clara nel vicino bolognese.
Tuttavia è forse sbagliato cercare un senso in una diceria perché, passando di bocca in bocca, questa si carica di valenze imprevedibili, come d’altronde è l’animo umano.
Però, forse, un mistero la casa lo custodisce per davvero. Perché mi domando come mai dopo cinquant’anni sia ancora disabitata. Forse ha realmente qualcosa di strano, come sembrano suggerire le esperienze di chi la visita ai nostri giorni, ma che nulla ha a che fare con l’improbabile storia che oggi sta circolando.
Naturalmente, per saperne di più, una visita in loco è indispensabile. Ed eccomi, dunque, in un parcheggio situato nella zona centrale di Campagnola a chiedere indicazioni su questa famigerata casa. “Vai dritto, poi gira a sinistra e dopo a destra ed infine ancora a sinistra. Lì troverai una strada ghiaiata che dopo un paio di chilometri ti porterà sul posto”, afferma sicuro un signore di mezza età.
Incredibilmente, vista la scarsità di punti di riferimento facilmente riconoscibili, mi ritrovo in pochi minuti al giusto imbocco del viottolo bianco. In pratica, e più semplicemente, occorre attraversare la frazione di Ponte Vettigano e tenere sulla sinistra una graziosa chiesetta circondata da lunghe file di viti.

Non per nulla, il toponimo Ponte Vettigano (nel Medioevo “Viticanus”) deriva dal latino “vitis”, cioè “vite”, pianta già coltivata in epoca tardo-romana.
Lasciata la chiesa, e giunti quasi subito ad un incrocio, è necessario girare a sinistra. Lì, dopo un breve pezzo asfaltato, inizia il “nostro” sterrato ghiaioso (volendo, praticabile anche in auto).
Ed ecco sulla sinistra, e dopo una decina di minuti o poco più di camminata, la casa, neppure troppo isolata.

O, meglio, quello che se ne intravede, perché un alto muro di cinta (che, in realtà, scoprirò essere posto solo lungo la strada) impedisce di dare un’occhiata al suo interno, a conferma di quanto si legge in giro. Però, è soprattutto la folta vegetazione che la avvolge come un manto ad occultarla quasi completamente (ne spunta solo la parte superiore).
A dire il vero, sulla sinistra parte un invitante sentiero sterrato che pare aggirare l’abitazione. Ma una sbarra contornata da filo spinato ed un cartello che invita a starne alla larga, spengono qualunque entusiasmo. Certo, non ci sono barriere che tengano per chi voglia entrare in questo come in altri luoghi abbandonati. Però, altrettanto ovviamente, se una struttura è chiusa e i cartelli di divieto sono chiari, si tratta di una palese violazione di proprietà privata.
Questo non impedisce di cogliere il senso di totale abbandono ed accentuata fatiscenza del luogo, ben oltre quanto mostrano le immagini in “rete”: muri pesantemente scrostati, tapparelle sgangherate e deformi, con i famosi comignoli, ormai privi di copertura, ridotti a scheletrici simulacri.

Insomma, vera o no che sia la storia della bambina morta, ora pare davvero una “ghost house”…