Misteri al castello di Carpineti (Reggio Emilia)
di Stefano Panizza
Si inalbera al culmine di un rialzo roccioso, fiero dei suoi trascorsi gloriosi e per aver vinto la sfida con il tempo (anche se con il passare dei secoli qualche pezzo lo ha perso per strada…).
È il castello di Carpineti o delle Carpinete, costruito nel XI secolo e famoso per aver dato alloggio a Matilde di Canossa e alla sua corte. Morta lei, ne iniziò il lento declino, con il colpo finale del “tiro a segno” dei nazisti, convinti che fosse un covo di partigiani.
Ma non possiamo lasciare la sua storia senza dire due parole sul famoso bandito Domenico di Amorotto, vissuto fra il XV e il XVI secolo, e che qui ebbe dimora. Figlio di un oste e dotato di una forza straordinaria, iniziò la sua “carriera”, se così la si può chiamare, al servizio di piccoli signori locali. Non prima, però, di aver ammazzato un uomo ed essere fuggito nei boschi con un branco di fuorilegge.
Ma il salto di qualità lo fece mettendosi alle dipendenze del papa Giulio II. Il quale fu talmente contento del suo scrupoloso impegno che gli donò il castello di Carpineti e gli concesse il diritto di riscuotere i dazi in paese (oltre a chiamarlo “diletto figlio”). Finì male, come prevedibile, con la testa del bandito ed una sua mano esposte nella rocca modenese di Spilamberto.
Ma ora curiosiamo dalle parti del castello.
Sulla destra, dopo un percorso acciottolato in salita, troviamo un ristorante e la chiesa romanica (ovviamente chiusa) dedicata a Sant’Andrea.
Di fronte, alcune costruzioni di origini medievali ma, soprattutto, quanto rimane dell’antico maniero. Purtroppo, al momento della mia visita, pure questo è chiuso. Quindi, osserviamolo dall’esterno.
Ed ecco, dunque, la sua torre svettante, affiancata da resti di mura e protetta, un poco più in là da un lungo tratto di cinta.
Ma ad incuriosire è quel perimetro quadrato di basse mura, al quale si accede attraversando una libera porta. Che sia stato un cimitero? Probabile. Oggi sicuramente è solo un grazioso prato a cielo aperto.
Ma di misteri il luogo ne custodisce?
Beh… diciamo che da queste parti si erge il monte Valestra. La tradizione vuole che il nome derivi dal brigante Balista, che il poeta Virgilio onorò con un epitaffio. Ma, soprattutto, narra che nella caverna che si trova sulla sua sommità sia sepolto un grande tesoro, nascosto dallo stesso brigante. Ai più coraggiosi è bene ricordare il nome di questa grotta, “Buco del diavolo”, come è a dire che a cercarlo si rischia la pelle, e non solo quella. E, poi, ci sarebbe santa Maria Maddalena in persona, a cui è intitolato l’oratorio che sta nelle sue vicinanze, a presidiare la grotta, in un singolare connubio dal sapore pagano. In fondo, la donna, secondo certe tradizioni non riconosciute dalla Chiesa, fu la moglie di Gesù ed è probabile che il misterioso antro sia stato sacralizzato fin dalle epoche più antiche.
Trasferendoci all’interno del castello, non esistono tradizioni legate a fantasmi o ad insoliti avvenimenti. Va però rimarcato che scavi archeologici del 1990 hanno portato alla luce una piccola chiesa dedicata a santa Maria, risalente all’XI secolo. Custodisce sul pavimento un grosso macigno di forma quasi circolare, di un metro e quaranta di diametro. Forse è legato a un evento miracoloso, o forse è servito come giaciglio ad un santo uomo. O magari è legato a qualche culto pagano, poi cristianizzato. Perché ormai, la sua memoria, si perde nella notte dei tempi…