Monticelli d’Ongina (Piacenza), il fantasma senza pace

di Stefano Panizza

Volendo raggiungere il castello piacentino di Monticelli costeggiando il fiume Po, si finisce per arrivare alle porte di Cremona e in una zona non lontano dal parco naturalistico di Isola Serafini.

Ed ora due parole sulla storia del luogo.

Monticelli d’Ongina è sempre stato un importante punto di transito perché sorgeva lungo la via Postumia, cioè quella strada che collegava Genova, sbocco sul mar Mediterraneo, ad Aquileia, importante scalo sul mar Adriatico.

Il suo castello fu costruito sul finire del XIII secolo, anche se l’attuale struttura può essere fatta risalire a cento anni dopo e grazie ai Pallavicino. Comunque sia, il maniero rimase in possesso dei Casali, che nel frattempo ne erano divenuti proprietari, sino alla metà del secolo scorso, quanto entrò a far parte dei beni della diocesi di Fidenza.

Proviamo ad osservarlo. È costituito da mattoni in laterizio, un tempo ricoperti da bianco intonaco. Ha la classica pianta quadrata con quattro torri angolari e due masti che si affacciano sui lati est e ovest. Il tutto, circondato da un ampio fossato, a proteggere il cortile interno.

 

A piano terra, si trova la graziosa cappella che custodisce affreschi della vita di san Bassiano, patrono di Lodi, realizzati da Bonifacio Bembo.

Che il locale custodisse delle importanti pitture lo si è scoperto solo nel 1957, quando ne emerse un frammento sotto lo strato di calce. Sì, perché quello che un tempo fu una cappella, era nel frattempo divenuta una volgare legnaia (per questo la parte più rovinata è quella inferiore). 

In ogni caso, come mai vien fatta menzione della città lombarda? Perché fu Carlo Pallavicino, vescovo di Lodi, ad ultimare il castello. In ogni caso, vi sono anche pitture che coinvolgono san Giorgio mentre uccide il drago, la Vergine, storie tratte dalla Bibbia ed un’Ultima Cena. A questo proposito, il celebre critico d’arte Vittorio Sgarbi ha avanzato l’ipotesi che abbia ispirato niente meno che Leonardo per la sua celeberrima opera, realizzata solo pochi anni dopo ed oggi conservata nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. Già, ma in base a che cosa? Soprattutto, perché la posizione e la disposizione degli apostoli che sono identiche nelle due opere.

Al piano superiore, invece, c’è la prigione, collocata in due stanze alte e strette, le cui pareti mostrano ancora graffiati  i nomi, le date e le invocazioni lasciati dai prigionieri.

Tornando al piano terra, anzi, nei sotterranei, ci aspettano altre sorprese.

Sì, perché il castello custodisce anche un curioso ritrovamento avvenuto nel 2000 sul greto del Po, durante la secca del mese di maggio e nei pressi dell’Isola Serafini. Si tratta di una piroga fossile (per questo appare nero come il carbone), realizzata da un tronco di quercia. Purtroppo, il pezzo non è completo, ma solo il corposo frammento di una imbarcazione che doveva avere una lunghezza di dieci metri. Il metodo del C14 lo ha datato tra il VI e il VII secolo d.C.

 

Non meno curiosa è l’epigrafe sempre rinvenuta dalle parti di Isola Serafini (il cui originale è al Museo di Cremona, ma un cartellone mostra una sua fotografia a grandezza naturale). Correva l’anno 1958, quando una ditta di escavazioni recuperava dalla sabbia, a circa dieci metri di profondità, una epigrafe tombale alta oltre due metri e dallo spessore di poco più di dieci centimetri. E che riportava la seguente didascalia (in parte ricostruita, viste le lettere mancanti): “Lucio Setilio, figlio inaspettato di Blando, nel testamento ordinò che si costruisse nel campo una tomba lunga 20 piedi, larga 20 piedi”.

Ma, come ogni castello che si rispetti, ha il suo bel fantasma. Si tratterebbe di una giovane donna di nome Giuseppina, assassinata nel 1872 da colui che lei aveva rifiutato, all’anagrafe Giuseppe Modesti. E lo spirito della donna vagherebbe inquieto fra le mura del maniero per non avere ancora ricevuto giustizia (e mai l’avrà). Si, perché l’omicida, una volta arrestato, riuscì a fuggire dalle carceri di Parma ed arruolarsi nell’esercito francese con il grado (nientemeno) che di ufficiale.

A questo punto, non rimane che indagare sul posto. E chi meglio della guida e di chi ci ha abitato può avere informazioni, diciamo, insolite?

Partiamo dalla prima. “Si dice che ci fosse un tunnel che collegasse il castello alla chiesa, che si trova a poche centinaia di metri da qui. Ora, se mai c’è stato, se ne sono perse completamente le tracce.

Così come c’è chi giura sulla presenza di un pozzo del taglio in quella torre del castello che poi è crollata. A questo proposito, si racconta la curiosa storia di un noto don Giovanni (nel senso di sciupa femmine). Costui fu dunque scaraventato giù nel pozzo, forse da un marito geloso o comunque da qualcuno che non gradiva il suo scellerato comportamento. Ma fu fortunato, perché la sua <pataglia>, cioè la camicia da notte, si impigliò in qualche sporgenza, prima di precipitare sul fondo del pozzo e quindi sulle lame. La storia non dice come andò a finire ma una famiglia Patain, di chiara derivazione dall’intimo indumento che salvò il giovanotto, esiste ancora in paese”.

Ed eccoci, invece, con una anziana signora che ha abitato il castello per tanti anni (ricordo che in tempi recenti è stato occupato da diverse famiglie).

Mah… io di fantasmi non ne ho mai visti e neppure assistito a qualche fenomeno strano. L’unica cosa curiosa, ma non certo misteriosa, è successa quando si è presentata una bambina con una boccia di vetro in una mano e il tappo nell’altra. Come mai? Perché voleva catturare il fantasma del castello, qualora si fosse presentato…”.

Ora anche l’oblio per il fantasma senza pace della povera Giuseppina…